Prendo a prestito il titolo di un (vecchio) libro di un (attempato) uomo politico sul ’68, per parlare di una strana nostalgia, che serpeggia nel ventre delle trasmissioni televisive, tra commentatori e uomini di partito spesso non particolarmente in buona fede: la nostalgia degli anni ’80.
L’età della Milano da bere, di Craxi, Andreotti, Cirino Pomicino, delle televisioni di Berlusconi, del Drive In, ecc. per molti, specie per molti risparmiatori, rappresenta una specie di età dell’oro.
Vediamo di cercare di capire il perché.
Prendiamo l’anno mediano, il 1985.
Un risparmiatore italiano del 1985 poteva versare una quantità illimitata di contanti sul conto corrente della banca a lui più comoda e discutere più o meno animatamente col Direttore della filiale le condizioni del suo conto, che comunque avrebbe goduto di un tasso attivo.
Quindi bastava che lasciasse i soldi sul c/c per vedersi accreditare qualche interesse su base trimestrale.
Ma, di solito, non appena il saldo del conto raggiungeva una cifra ritenuta più elevata dello stretto necessario, si correva a sottoscrivere un BOT, Buono Ordinario del Tesoro, di lunghezza variabile dai 3 mesi ai 12, anche perché il rendimento lordo era altino (13,18% un BOT annuale nel 1985). Oppure un Certificato di Deposito della banca stessa, che di solito offriva qualche centesimo di punto in più del Bot.
Il semplice acquisto di questo tipo di titoli garantiva una sufficiente protezione dall’inflazione (nel 1985 al 9.3% annuo circa) vero e corrosivo nemico del risparmio.
I più spericolati si avventuravano nel mondo dei BTP o dei CCT, che avendo durate più lunghe, assicuravano cedole annue ancora più interessanti, pur avendo, specie nel caso dei BTP, variazioni di prezzo che ne rendevano il rimborso prima della scadenza fastidiosamente “rischioso”.
Ma l’obiettivo di medio termine, lo sbocco invariabile e concreto di ogni risparmiatore avveduto era uno solo: L’IMMOBILE! Non appena si era in condizioni di farlo, l’acquisto di un’immobile costituiva il vero fine del risparmio, l’agognato rifugio per tutti i parsimoniosi e la soluzione di ogni problema!
L’oggetto in muratura, infatti, racchiudeva in sé una serie quasi irresistibile di pregi. Per citare i più comunemente apprezzati (all’epoca):
-l’immobile è per definizione una ricchezza TANGIBILE
-protegge dall’inflazione,
-si può mettere a reddito affittandolo,
-ma soprattutto, gli si può attribuire, una volta acquistato, il prezzo che la propria immaginazione ritiene più congruo, visto che non esiste una quotazione ufficiale e ogni immobile, come è noto, fa storia a sé, e soprattutto dipende dall’estensione dell’Ego del suo orgoglioso proprietario.
Si vociferava, è vero, di cicli del mercato immobiliare. Si ricordava che la parte centrale degli anni ’70 non era andata un gran che, ma si era disposti ad aspettare, per vendere, il momento in cui il prezzo immaginato avesse coinciso con quello proposto da un ignaro acquirente.
Infine qualche scavezzacollo, ammaliato dalle cifre sciorinate dal mitico Everardo Dalla Noce, investiva in Borsa, o meglio SPECULAVA in Borsa, preferibilmente su titoli oggetto di “soffiate” da parte di amici e conoscenti. Le azioni coinvolte di questi traffici erano però solo italiane, perché fino ai primi anni ’90 l’esportazione di capitali (per comprare, che so, alla borsa di Wall Street) era REATO!
**Quindi i prezzi delle azioni si formavano nelle “Grida” della Borsa di Milano, il cui peso nella capitalizzazione delle borse mondiali raggiungeva a mala pena l’1% ed i cui andamenti erano decisi all’epoca da pochi, potenti, operatori, le cui manovre, peraltro, Everardo Dalla Noce sembrava, a giudicare dallo sguardo sornione, conoscere a menadito.
Eh, sì! Bei tempi!
Peccato!
Peccato che a turbare queste immagini del passato, popolate di signorine discinte, ma elegantissime, di auto di lusso, di cocktail esotici sorbiti in locali esclusivi, ci sia un presente assai meno glamour, che in larga parte è conseguenza di QUEL periodo!
La modesta tassazione e la tollerata evasione fiscale, largamente praticata in quegli anni da ampie schiere di industriali e commercianti, insieme ad una corrotta ed inconcludente classe di politici ed amministratori, hanno prodotto un’esplosione senza precedenti, in tempo di pace, del debito dello Stato Italiano.
Il debito pubblico italiano è salito da circa il 60% del Pil del 1981 ad oltre il 120% del 1992 e da allora non è più sceso in modo significativo.
L’apparente ricchezza derivata dai rendimenti dei titoli di stato, per il cui collocamento le banche percepivano un compenso, si è trasformata in un onere terribile per le generazioni successive, incolpevolmente succubi di un debito tra i più alti dell’occidente.
La hybris tipica dell’epoca ha impedito, a chi doveva farlo, di ricordare quanto fosse pericoloso un debito dello Stato fuori controllo.
Una classe politica incosciente ha fatto leva su un sistema bancario complice e su un popolo di risparmiatori scarsamente informato e poco consapevole, per creare una ricchezza fittizia, che non è stata impiegata per aumentare l’istruzione e la produttività del sistema, ma per tutt’altri fini.
La feroce concorrenza dovuta alla globalizzazione dei mercati, partita negli anni ’90, ci ha colto così largamente impreparati, producendo una serie di guasti di cui oggi paghiamo inesorabilmente il prezzo.
Come subordinata a questa situazione generale, il risparmiatore tipo del 1985, vivendo, come si è visto, in un mondo relativamente “anestetizzato”, non è stato messo nella condizione di approfondire i temi legati agli investimenti ed al risparmio.
Non ha mai potuto acquisire familiarità con i concetti fondamentali come, ad esempio, quelli di rischio e di diversificazione. Non ha mai potuto apprezzare la componente TEMPO nella creazione e nella gestione delle proprie risorse. Non ha acquisito insomma una CULTURA FINANZIARIA, da cui attingere e da trasmettere alle generazioni successive.
Solo ora infatti, grazie soprattutto al radicale mutamento delle condizioni economiche e finanziarie, ci si rende conto di quanto sia preziosa una pur minima conoscenza dei meccanismi che stanno alla base della formazione e della gestione del risparmio. E’ iniziato, finalmente, grazie anche alle numerose iniziative di educazione finanziaria, un percorso di consapevolezza e cultura per molti italiani, specie delle generazioni più giovani.
Piccola Bibliografia:
- Pierluigi Ciocca, Ricchi per sempre?, Bollati Boringhieri, 2007
- Paolo Legrenzi, L’alfabeto dei soldi, Guerini Next, 2020
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