Con una certa ricorrenza (l’ultima volta pochi giorni fa) emergono proposte o perfino progetti di legge che prevedono l’introduzione di una nuova imposta sul patrimonio degli italiani.
Nello specifico, in questo caso si tratta della proposta formulata dai deputati Fratojanni e Orfini, che ipotizzano un prelievo per i patrimoni netti (ovvero al netto dei mutui e prestiti) per la parte superiore ai 500.000 euro, nella misura dello 0,2 % fino a 1 milione, dello 0.5 per la parte che va da 1 milione a 5 milioni ecc. fino al 3% per patrimoni oltre il miliardo di euro.
A questi aggravi di imposta per i “benestanti” corrisponderebbero però l’abolizione dell’IMU sulle seconde case e del Bollo del 2 x mille sul dossier titoli per tutti i contribuenti. I proponenti sostengono che, per chi ha patrimoni vicini alla soglia dei 500.000 Euro, l’assetto proposto potrebbe portare perfino ad una minore imposizione totale.
Al netto di considerazioni etiche anche condivisibili, dato il momento storico, e di tutto il can can giornalistico che circonda la vicenda, vorrei cercare di ragionare sulle reali possibilità che un tale progetto, o uno simile, veda la luce e sui presunti vantaggi per l’erario di una simile iniziativa.
Innanzi tutto, buttiamo giù due cifre.
Il patrimonio lordo degli italiani ammonta a circa 10,5 mila miliardi di euro (d’ora in poi MM, quindi 10 MM), di cui grosso modo 6 MM corrispondenti a immobili e 4,5 MM di ricchezza mobiliare, ovvero che si può spostare (titoli ecc.) Di questi circa 1.7 MM sono in strumenti a breve termine, quindi facilmente esigibili dal risparmiatore, ma anche a disposizione dell’erario. Da notare che quest’ultimo dato, ovvero quello degli impieghi a breve, causa l’incertezza del momento, dopo essere cresciuto continuamente negli ultimi anni, ha avuto una sensibile impennata da quando è iniziata la pandemia.
Teniamo ben presente questo aspetto: mai come ora gli italiani hanno risorse libere sul conto corrente o comunque su strumenti affini! La tentazione di approfittarne è forte!
A tutto ciò corrisponde un debito dello Stato italiano di circa 2,6 MM. In parte, questo debito è GIA’ nelle mani degli italiani e costituisce parte di quei 4,5 MM di ricchezza mobile. Direttamente infatti, attraverso BTP di varie fogge, le famiglie possiedono circa 165 miliardi di euro (0,165 MM- Il Sole24 Ore, 26/11/2020) e molto di più indirettamente, tramite fondi e polizze.
Su questo debito peraltro lo Stato applica una tassazione di favore del 12,5% del risultato (cedole e eventuale plusvalenza) e ha poco interesse a insistere con tassazioni ulteriori, anzi.
Uno dei modi più efficaci, infatti, per reperire risorse rapidamente e, con i tassi attuali, a buon mercato, è quello di emettere nuovi BTP. Quest’anno il tasso medio dei BTP emessi è stato di poco sopra lo 0,60% e il prossimo anno potrebbe essere perfino più basso. Quindi è molto conveniente per lo Stato italiano fare debito in queste condizioni.
L’effetto di una imposta patrimoniale in questa fase potrebbe essere quello di scoraggiare l’acquisto da parte del risparmiatore italiano di emissioni BTP a lui dedicate, poiché i tassi promessi (già risicati) andrebbero (virtualmente) diminuiti dell’imposta applicata.
Per non parlare dell’effetto FUGA che annunci del genere producono su tutto ciò che è riferibile all’Italia, specie se il provvedimento sarà oggetto del consueto tira e molla politico.
Sulla parte immobiliare del patrimonio, l’imposta patrimoniale rischia di raffreddare ulteriormente un mercato che già di per se qualche piccolo problema ce l’ha. Una eventuale ulteriore diminuzione delle compravendite significherebbe peraltro una diminuzione del gettito sulle imposte legate al passaggio di proprietà, ecc.
Rimane da capire quale sarebbe il beneficio per l’erario.
Su questo tema la nebbia è fitta.
Facciamo due conti molto grossolani e superficiali:
Prendiamo come riferimenti gli 800 miliardi circa di patrimonio mobiliare delle famiglie con più di 500.000 di patrimonio, aggiungendoci, per fare conto pari, 1,2 MM di patrimonio immobiliare ipotizzabile in mano alle stesse famiglie. Abbiamo circa 2 mila miliardi.
Ad un’aliquota media (generosissima!) dello 0,3%, possiamo immaginare un introito per lo Stato di circa 6 miliardi di Euro l’anno, largheggiando molto. Se poi si pensa alla cessazione del Bollo e dell’Imu, l’introito netto rimane dubbio. Solo l’Imu rende allo Stato(e ai Comuni) una 20ina di miliardi l’anno, stabili, nonostante le altalene del mercato immobiliare.
Per il bollo sul Dossier titoli il gettito è di circa 3-4 miliardi l’anno.
Qualcuno però si è spinto ad ipotizzare un più sostanzioso incasso dalla parte più alta dei contribuenti coinvolti nella nuova tassazione (quelli sopra i 50 milioni di patrimonio). Si parla di circa 10 miliardi l’anno.
Ne vale la pena? Non saprei.
L’importo equivale più o meno a quanto lo Stato ottiene a costi molto più modesti con un’emissione di BTP rivolti al piccolo risparmiatore. E senza subire ricadute “reputazionali” negative.
Inoltre la proposta nata in questi giorni appare alquanto laboriosa per ciò che concerne la quantificazione del patrimonio tassabile, i costi organizzativi e le verifiche incrociate che comporterebbe. Senza contare che favorirebbe comportamenti opposti a quelli che si vogliono incoraggiare per quanto concerne la tracciabilità dei pagamenti e l’utilizzo del denaro contante.
Stranamente (ma mica tanto!), il fisco italiano NON è disegnato per valutare il patrimonio dei suoi contributori, ma per colpire selettivamente questo o quell’altro bene in modo indiscriminato.
Come quantificare adeguatamente, esempio banale, il contenuto di una cassetta di sicurezza, se non guardandoci dentro?
Inoltre, coloro che dovrebbero fornire la parte più cospicua del gettito, i “Super-ricchi”, sono quelli che avrebbero a disposizione anche i mezzi per spostare “al sicuro” parti consistenti del loro patrimonio.
Per tutte queste ragioni, infatti, di solito questo tipo di imposizioni sul patrimonio fruttano all’erario un gettito di molto inferiore a quelle che sono le aspettative, ma genera però in compenso moti di sfiducia e timore nella cittadinanza e un allontanamento generale di risorse dal “Sistema Italia”.
Escludendo il ricorso a forme di prelievo “nottetempo” come accadde nel 1992 dai conti correnti (oggi frutterebbe da sola una 10ina di miliardi), che sarebbero contrari ad ogni logica di minimo buon senso, l’unica spiegazione che mi do di una tale iniziativa è quella che serva per “preparare il terreno” all’introduzione di riforme magari meno spettacolari, ma ugualmente invasive delle tasche dei contribuenti, come, ad esempio, la revisione delle rendite catastali o una rimodulazione delle imposte di successione e donazione.
Sempre in attesa, ovviamente, di un riordino complessivo di tutta la materia fiscale, volto a tassare meno chi lavora e produce e un po’ di più chi gode di rendite.
Chi vivrà, vedrà…e pagherà!
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Analisi come sempre puntuale e corretta che sposo in pieno. Bravo.